Così traduco, a modo mio, il titolo del fatidico opuscolo del 1902, il “Che fare?” di Lenin. Anche noi, oggi, siamo alle prese con il problema di come mettere in campo una politica tra i “senza potere”. L’analogia forse finisce qui: tutto è diverso, rispetto ad allora; ma ci sono lo stesso lezioni da trarre, come mostrerò in futuri post.
Inoltre, almeno in questa parte del mondo, il movimento socialista, nelle sue varie correnti, è finito. Di più: tutte le vecchie correnti politiche – democratici, liberali, conservatori, ecc – hanno perso di senso, trascinate nella crisi della politica come in un buco nero. Insomma, tutte le vecchie storie politiche sono finite: tornare a fare politica significa cominciare una nuova storia, non vi sono continuità da rivendicare se non per operazioni identitarie e autoreferenziali di corto respiro.
I progetti del passato non possono neanche essere dimenticati; al contrario, vanno ripensati, radicalmente, allo scopo di recuperarne i principi ispiratori fuori dai limiti delle ideologie in cui erano concepiti. La continuità delle storie politiche si è interrotta, ma una nuova storia va alimentata dalla rivendicazione di progetti, aspirazioni e memorie del passato.
Possiamo ora riformulare, attualizzata, la domanda posta da Lenin: nell’involuzione delle nostre società, decerebrate, prigioniere dell’ideologia neoliberista e del mito del suprematismo USA, come dare vita oggi ad un’organizzazione di lotta politica capace di opporsi al colonialismo e all’autoritarismo, dare forza alle istanze popolari, riconquistare la democrazia?